Escherichia Coli (Fig. 1.1)
Una volta richiesti l'esame delle urine e la urinocoltura, in questa almeno nell'85 % dei casi compare una positività per la Escherichia coli.
Appartiene alla famiglia delle Enterobacteriacee; bacillo gram negativo, asporigeno, aerobio - anaerobio facoltativo, fimbriato
Nell’80% dei ceppi la presenza di flagelli (da 1 a 4) garantisce la mobilità.
L’E. Coli è un esempio classico di batterio opportunista-patogeno nel senso che, pur essendo membro della normale flora microbica intestinale, può causare, se raggiunge altri distretti, diverse malattie tra cui l’infezione urinaria, sicuramente la più frequente e importante tra le infezioni endogene.
Da un punto di vista siero logico si conoscono 171 sierotipi diversi sulla base dell’antigene “O” della parete cellulare. I sierotipi che con maggior frequenza si identificano nelle IVU sono 1,2,4,6,7,25 e 75. Ciascuno di questi si distingue a sua volta sulla base degli 80 antigeni capsulari (K) e dei 56 antigeni flagellari(H).
Sembra tuttavia certo che solo alcuni ceppi di E. Coli siano dotati di quelle caratteristiche di virulenza che facilitano la migrazione dall’intestino, la successiva colonizzazione della mucosa vaginale e periuretrale e quindi la risalita e l’invasione delle vie urinarie.
Il più importante fattore di virulenza è la capacità del batterio di aderire specificatamente e selettivamente alla superficie dell’urotelio.
ADESIVITA' BATTERICA
Questa capacità, denominata “adesività batterica”, è conseguenza dell’interazione stereospecifica tra strutture proteiche superficiali del microorganismo (le adesine), localizzate alle estremità distali dei filamenti (non flagellati) sottili chiamati fimbrie (o pili), con specifici recettori presenti sulle cellule uroteliali costituiti da glicolipidi di membrana (Fig. 2, 3).
Ciò consente al batterio di rimanere adeso all’epitelio nonostante il lavaggio meccanico prodotto dal flusso urinario.
E’ da sottolineare però che la presenza di adesine può anche essere un elemento di svantaggio poiché molte di esse intervengono anche nel processo di fagocitosi favorendo l’adesione dei batteri ai fagociti. La presenza delle adesine non spiegherebbe tuttavia da sola la resistenza del legame pili-cellula epiteliale al flusso urinario, poiché a prima vista i pili sembrano filamenti rigidi, pronti a spezzarsi al minimo urto. Recentemente è stata scoperta e definita la reale conformazione di ciascun filamento: i pili avrebbero una struttura elicoidale, suddivisa in subunità composte ognuna da sette giri di elica. Ogni pilo è composto da un migliaio di copie di una proteina strutturale chiamata PapA. Questa è capace di deformarsi senza rompersi, semplicemente allungandosi, cosicché la lunghezza di ciascun pilo può passare da circa i millimicron a 5 volte tanto. Allungandosi, i pili resistono alla trazione prodotta dal passaggio dell’urina e mantengono adesi i batteri alle cellule ospiti aumentandone in pratica il potere infettante.
L’aderenza batterica alle cellule epiteliali delle vie escretrici costituisce il primo passo della colonizzazione batterica; seguono la penetrazione della mucosa (Fig. 3) , l’avvio del processo infiammatorio e la comparsa della sintomatologia.
Sulla base della capacità del mannosio di interferire sulla adesività batterica, si distinguono due tipi di fimbrie: fimbrie di tipo I, mannosio sensibili (favoriscono l’emoaggiutinazione degli eritrociti umani in presenza di mannosio) e, di gran lunga più importanti in termini di morbilità, fimbrie di tipo TI, mannosio-resistenti, che riconoscono sulla superficie dell’urotelio un recettore glicosfingolipidico identico a quelli del sistema sanguigno di gruppo Pi.
Le fimbrie di tipo TI che interagiscono con questi recettori sono state chiamate fimbrie P e sono una caratteristica dei ceppi pielonefritogeni di E. Coli.
Oltre all’E. coli altri batteri uropatogeni, come il Proteus, la Klebsiella e lo Stafilococcus saprophyticus, hanno sviluppato i meccanismi di adesività.
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